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REPORT FINALE del “LABORATORIO IN SOCIAL
INNOVATION”:

Le reti d’impresa nella realtà delle cooperative nel
veronese: fattori di innovazione.

GRUPPO: Marta Facci (lavoro singolo). Matr. 168127

MOTIVAZIONI: Le ragioni che mi hanno spinta ad approfondire la tematica
delle cooperative in relazione alle reti d’impresa sono molteplici. Parto dal fatto
che prima di partecipare al laboratorio di social innovation sapevo ben poco
della realtà cooperativa e delle sue potenzialità e sentendone parlare in
maniera più approfondita la questione ha suscitato il mio interesse. Ero curiosa
di capire in maniera più concreta come funzionasse quella realtà soprattutto nel
contesto in cui vivo, ovvero Verona. Posso dire che l’idea è maturata molto
anche grazie al confronto con gli altri partecipanti al laboratorio e che quindi in
questo percorso la discussione sia stata decisamente costruttiva e centrale.

PROGETTO SCELTO: Il progetto scelto riguarda la realtà delle cooperative nel
veronese, capirne il funzionamento e l’apporto innovativo sul territorio

ATTIVITA’ SVOLTE: intervista al dott. Davide Mantovanelli (Legacoop)
“ABSTRACT”:

La realtà delle cooperative nel territorio di Verona è decisamente diffusa e
concreta tanto che può essere definita come uno dei centri nevralgici della
cooperazione a livello nazionale, dunque, prima di parlare delle cooperative in
relazione alle reti d’impresa è bene dare uno più sguardo generale a questa
realtà. Sul territorio veronese sono presenti più di 1000 cooperative, 1030 per la
precisione, e rispetto a quanto troviamo sul territorio nazionale si può dire che
siano

una

realtà

ben

radicata.

Esse

sono

distribuite

abbastanza

omogeneamente su tutto il territorio e nella sua totalità il settore dà lavoro a
circa 100.000 persone. Le cooperative operano in una molteplicità di settori; ci
sono quelle che hanno come fine la produttività e il fatto di fornire lavoro a un
determinato numero di dipendenti, poi ci sono le cooperative agricole, quelle
impiegate nei servizi (come ad esempio logistica e pulizia) e infine ci sono le
cooperative sociali che invece sono orientate al fornire servizi assistenziali. Per
quanto riguarda la realtà veronese possiamo dire che essa abbia una
vocazione prevalentemente agricola visto anche il suo territorio, non per questo
però non sono ben sviluppati anche altri settori della cooperazione come ad
esempio la logistica e la parte inerente alle cooperative sociali che forniscono
servizi assistenziali.
Dando uno sguardo al sistema cooperativo in generale per quanto riguarda
Verona esso fa capo a tre centrali principali:
1. Legacoop
2. Confcooperative
3. AGCI
Il fatto di fare capo a tre centrali ha ragioni storiche ben fondate e radicate. La
nota distinzione tra cooperative “bianche” e cooperative “rosse”, in base alla
parte politica a cui aderivano, spiega in buona parte la ragione di questa
divisione (la Legacoop ad esempio ha una tradizione più “operaia”). Questa
divisione talvolta risulta dannosa per la realtà della cooperazione perché si
perdono chiaramente i vantaggi che si otterrebbero da un sistema unitario
com’è invece quello trentino. Il caso trentino meriterebbe un capitolo a parte
vista la sua unicità su tutto il territorio nazionale, ma visto che non è questa la
sede basterà elencarne alcune delle caratteristiche più salienti per evincere la
sua peculiarità. Esso, superate le divisioni che caratterizzano il sistema
cooperativo italiano, ha costruito un sistema capillare di cooperative che fanno
capo ad un'unica centrale riducendo dispendio inutile di energie privilegiando
invece un sistema più sinergico. E’ importante vedere i tratti caratterizzanti del
caso del trentino perché esso è così ben funzionante che, non a caso, funge da
vero e proprio modello. A livello nazionale si sta cercando di riportare ad unità
tutte le suddivisioni che rendono più difficoltosa la cooperazione attraverso, ad
esempio, la costituzione ad esempio dell’ A.C.I. (Alleanza delle Cooperative
Italiane); si tratta però di un processo lungo e difficoltoso di certo non privo di
resistenze al cambiamento. Il caso trentino è senza dubbio però un esempio di
innovazione radicale verso cui anche il resto del Paese dovrebbe avviarsi.
Torniamo ora a parlare del caso di Verona, abbiamo dunque detto che la realtà
delle cooperative è ben presente sul territorio e che tra i settori c’è
indubbiamente una forte vocazione agricola. Una cosa che si riscontra però è la
scarsa di capacità di fare rete. Ci avviciniamo dunque al cuore della trattazione.
Di per sé le cooperative molto spesso ottengono performance migliori rispetto
alle imprese tradizionali e questo perché tra gli obiettivi viene data la priorità alla
conservazione del posto di lavoro e non al profitto. Se contestualizziamo poi, a
partire dal 2008, quindi da quando è esplosa la crisi economica, la realtà delle
cooperative ha presentato una tenuta maggiore rispetto alle imprese
tradizionali. Non che le cooperative non abbiano risentito degli effetti della crisi,
anzi, proprio per il fatto che non sono orientate al profitto hanno risentito molto
spesso di problemi di sottocapitalizzazione (nelle cooperative infatti l’utile viene
per il 30% messo a riserve legali, per il 3% viene dato al fondo mutualistico
nazionale e per il 66% viene dato o ai socio o viene messo a riserve). E’ proprio
nel contesto della crisi economica che emerge la realtà delle reti d’impresa
anche tra le cooperative. Il modello di rete è precedente rispetto alla crisi, era
già stato proposto, tuttavia non aveva riscosso molto successo perché il fare
rete risulta comunque impegnativo e non privo di ostacoli.

Di base, com’è
naturale, ognuno tenderebbe a “fare per se stesso”. Dunque, anche se la
proposta sembrava innovativa e risolutrice nella realtà ha incontrato parecchi
freni e gli entusiasmi iniziali si sono presto raffreddati.
Guardiamo la questione un attimo dal punto di vista tecnico, ci sono
sostanzialmente due modi di fare rete d’impresa:
1- Si mette insieme il capitale. In questo caso si ottiene più fatturato e si
può partecipare a più gare.
2- Non si mette insieme il capitale. In questo caso la rete viene formata solo
tramite una scrittura privata.
La prima modalità sembra dare più risultati ma è decisamente più macchinosa
perché comporta atti notarili e una serie di pratiche burocratiche che
scoraggiano le imprese (in questo caso le cooperative) dal fare rete. La
seconda modalità viene adottata soprattutto dalle cooperative sociali, è più
blanda ma appunto più snella e per questo è stata adottata molto più
frequentemente di quanto sia stato adottato il primo modello. La mancanza di
“leggerezza” del modello di rete d’impresa è stata la principale causa del
fallimento momentaneo di questo tentativo. Un’altra modalità di collaborazione
tra imprese che non è una rete ma è stata comunque utilizzata è l’ATI
(associazione temporanea d’impresa), in questo modo più imprese stanno
temporaneamente insieme per partecipare a gare ed appalti.
Il sistema di rete d’impresa è tornato alla ribalta poi con la crisi economica come
già detto. Le ristrettezze economiche e i ridimensionamenti dovuti alla crisi
hanno fatto sì che per le cooperative sorgesse una vera e propria esigenza di
mettersi insieme per tentare di uscire dalla crisi economica. Ecco che emerge
quindi la rete come sistema innovativo, come unica via di sopravvivenza per
quelle cooperative, soprattutto piccole, che da sole non riescono a far fronte alla
situazione economica attuale.
Per comprendere meglio le potenzialità della rete di cooperative nell’intervista
fatta al dott. Davide Mantovanelli, presidente della Legacoop a Verona, è stato
chiesto se la vedesse come un modello di innovazione concreto per il futuro. La
sua risposta è stata che nonostante il contesto italiano, fatta eccezione per il
caso trentino, sia caratterizzato da una certa “polverizzazione”, la rete può
essere effettivamente una soluzione per il futuro di tante cooperative perché
appunto ne aumenta le potenzialità che da singole non avrebbero. Secondo lui
la ragione per la quale fino ad ora il modello non abbia riscosso tanto successo
risiede nel fatto che il modello di rete, come già detto, non è esattamente snello
e le pratiche che richiede sono abbastanza macchinose, inoltre, secondo la sua
opinione, nonostante le iniziative che si sono svolte sul territorio per
approfondire la tematica quanto meno a livello provinciale, probabilmente ci
sono state delle lacune comunicative.
Nel dimostrare qualche applicazione di successo delle reti ha fatto l’esempio
della cooperativa San Marco di Peschiera. Questa cooperativa sociale che si
occupa di impiegare in attività produttive persone portatrici di handicap, ha
stipulato una rete d’impresa con l’azienda di trasporti locale per far sì che le
persone con disabilità potessero muoversi più agevolmente sul territorio. Grazie
alla creazione della rete, mettendo insieme le forze di entrambi, sono riusciti a
vincere un appalto e a far sì che il loro progetto andasse a buon fine.
Con le reti d’impresa diventa possibile la collaborazione tra imprese
(cooperative) appartenenti a settori diversi, non solamente allo stesso settore,
in questo modo diventa possibile creare delle sinergie che portano a risultati
che altrimenti molto difficilmente potrebbero essere raggiunti. Qui sta
indubbiamente il maggiore fattore di innovazione, nel fatto di riuscire ad
utilizzare le rispettive “skills” in modo tale da raggiungere un maggior vantaggio
reciproco per se stessi e poi, soprattutto nel caso delle cooperative, per la
comunità e per il territorio in cui si agisce.
Sarebbe indubbiamente interessante riuscire a portare in una realtà come
Verona un modello più integrato come quello Trentino per far sì che la
capillarità dell’azione e l’unità facilitino anche la creazione di reti tra le
cooperative. Naturalmente un sistema unitario sarebbe terreno più fertile di
collaborazione rispetto ad uno più frammentato. La cosa che trovo più
interessante è la possibilità di una collaborazione “intersettoriale”, credo che lo
scambio di informazioni e di abilità sia la forza vera della rete.

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Elaborato seminario marta facci

  • 1. REPORT FINALE del “LABORATORIO IN SOCIAL INNOVATION”: Le reti d’impresa nella realtà delle cooperative nel veronese: fattori di innovazione. GRUPPO: Marta Facci (lavoro singolo). Matr. 168127 MOTIVAZIONI: Le ragioni che mi hanno spinta ad approfondire la tematica delle cooperative in relazione alle reti d’impresa sono molteplici. Parto dal fatto che prima di partecipare al laboratorio di social innovation sapevo ben poco della realtà cooperativa e delle sue potenzialità e sentendone parlare in maniera più approfondita la questione ha suscitato il mio interesse. Ero curiosa di capire in maniera più concreta come funzionasse quella realtà soprattutto nel contesto in cui vivo, ovvero Verona. Posso dire che l’idea è maturata molto anche grazie al confronto con gli altri partecipanti al laboratorio e che quindi in questo percorso la discussione sia stata decisamente costruttiva e centrale. PROGETTO SCELTO: Il progetto scelto riguarda la realtà delle cooperative nel veronese, capirne il funzionamento e l’apporto innovativo sul territorio ATTIVITA’ SVOLTE: intervista al dott. Davide Mantovanelli (Legacoop)
  • 2. “ABSTRACT”: La realtà delle cooperative nel territorio di Verona è decisamente diffusa e concreta tanto che può essere definita come uno dei centri nevralgici della cooperazione a livello nazionale, dunque, prima di parlare delle cooperative in relazione alle reti d’impresa è bene dare uno più sguardo generale a questa realtà. Sul territorio veronese sono presenti più di 1000 cooperative, 1030 per la precisione, e rispetto a quanto troviamo sul territorio nazionale si può dire che siano una realtà ben radicata. Esse sono distribuite abbastanza omogeneamente su tutto il territorio e nella sua totalità il settore dà lavoro a circa 100.000 persone. Le cooperative operano in una molteplicità di settori; ci sono quelle che hanno come fine la produttività e il fatto di fornire lavoro a un determinato numero di dipendenti, poi ci sono le cooperative agricole, quelle impiegate nei servizi (come ad esempio logistica e pulizia) e infine ci sono le cooperative sociali che invece sono orientate al fornire servizi assistenziali. Per quanto riguarda la realtà veronese possiamo dire che essa abbia una vocazione prevalentemente agricola visto anche il suo territorio, non per questo però non sono ben sviluppati anche altri settori della cooperazione come ad esempio la logistica e la parte inerente alle cooperative sociali che forniscono servizi assistenziali. Dando uno sguardo al sistema cooperativo in generale per quanto riguarda Verona esso fa capo a tre centrali principali: 1. Legacoop 2. Confcooperative 3. AGCI Il fatto di fare capo a tre centrali ha ragioni storiche ben fondate e radicate. La nota distinzione tra cooperative “bianche” e cooperative “rosse”, in base alla parte politica a cui aderivano, spiega in buona parte la ragione di questa divisione (la Legacoop ad esempio ha una tradizione più “operaia”). Questa divisione talvolta risulta dannosa per la realtà della cooperazione perché si
  • 3. perdono chiaramente i vantaggi che si otterrebbero da un sistema unitario com’è invece quello trentino. Il caso trentino meriterebbe un capitolo a parte vista la sua unicità su tutto il territorio nazionale, ma visto che non è questa la sede basterà elencarne alcune delle caratteristiche più salienti per evincere la sua peculiarità. Esso, superate le divisioni che caratterizzano il sistema cooperativo italiano, ha costruito un sistema capillare di cooperative che fanno capo ad un'unica centrale riducendo dispendio inutile di energie privilegiando invece un sistema più sinergico. E’ importante vedere i tratti caratterizzanti del caso del trentino perché esso è così ben funzionante che, non a caso, funge da vero e proprio modello. A livello nazionale si sta cercando di riportare ad unità tutte le suddivisioni che rendono più difficoltosa la cooperazione attraverso, ad esempio, la costituzione ad esempio dell’ A.C.I. (Alleanza delle Cooperative Italiane); si tratta però di un processo lungo e difficoltoso di certo non privo di resistenze al cambiamento. Il caso trentino è senza dubbio però un esempio di innovazione radicale verso cui anche il resto del Paese dovrebbe avviarsi. Torniamo ora a parlare del caso di Verona, abbiamo dunque detto che la realtà delle cooperative è ben presente sul territorio e che tra i settori c’è indubbiamente una forte vocazione agricola. Una cosa che si riscontra però è la scarsa di capacità di fare rete. Ci avviciniamo dunque al cuore della trattazione. Di per sé le cooperative molto spesso ottengono performance migliori rispetto alle imprese tradizionali e questo perché tra gli obiettivi viene data la priorità alla conservazione del posto di lavoro e non al profitto. Se contestualizziamo poi, a partire dal 2008, quindi da quando è esplosa la crisi economica, la realtà delle cooperative ha presentato una tenuta maggiore rispetto alle imprese tradizionali. Non che le cooperative non abbiano risentito degli effetti della crisi, anzi, proprio per il fatto che non sono orientate al profitto hanno risentito molto spesso di problemi di sottocapitalizzazione (nelle cooperative infatti l’utile viene per il 30% messo a riserve legali, per il 3% viene dato al fondo mutualistico nazionale e per il 66% viene dato o ai socio o viene messo a riserve). E’ proprio nel contesto della crisi economica che emerge la realtà delle reti d’impresa anche tra le cooperative. Il modello di rete è precedente rispetto alla crisi, era già stato proposto, tuttavia non aveva riscosso molto successo perché il fare rete risulta comunque impegnativo e non privo di ostacoli. Di base, com’è
  • 4. naturale, ognuno tenderebbe a “fare per se stesso”. Dunque, anche se la proposta sembrava innovativa e risolutrice nella realtà ha incontrato parecchi freni e gli entusiasmi iniziali si sono presto raffreddati. Guardiamo la questione un attimo dal punto di vista tecnico, ci sono sostanzialmente due modi di fare rete d’impresa: 1- Si mette insieme il capitale. In questo caso si ottiene più fatturato e si può partecipare a più gare. 2- Non si mette insieme il capitale. In questo caso la rete viene formata solo tramite una scrittura privata. La prima modalità sembra dare più risultati ma è decisamente più macchinosa perché comporta atti notarili e una serie di pratiche burocratiche che scoraggiano le imprese (in questo caso le cooperative) dal fare rete. La seconda modalità viene adottata soprattutto dalle cooperative sociali, è più blanda ma appunto più snella e per questo è stata adottata molto più frequentemente di quanto sia stato adottato il primo modello. La mancanza di “leggerezza” del modello di rete d’impresa è stata la principale causa del fallimento momentaneo di questo tentativo. Un’altra modalità di collaborazione tra imprese che non è una rete ma è stata comunque utilizzata è l’ATI (associazione temporanea d’impresa), in questo modo più imprese stanno temporaneamente insieme per partecipare a gare ed appalti. Il sistema di rete d’impresa è tornato alla ribalta poi con la crisi economica come già detto. Le ristrettezze economiche e i ridimensionamenti dovuti alla crisi hanno fatto sì che per le cooperative sorgesse una vera e propria esigenza di mettersi insieme per tentare di uscire dalla crisi economica. Ecco che emerge quindi la rete come sistema innovativo, come unica via di sopravvivenza per quelle cooperative, soprattutto piccole, che da sole non riescono a far fronte alla situazione economica attuale. Per comprendere meglio le potenzialità della rete di cooperative nell’intervista fatta al dott. Davide Mantovanelli, presidente della Legacoop a Verona, è stato chiesto se la vedesse come un modello di innovazione concreto per il futuro. La sua risposta è stata che nonostante il contesto italiano, fatta eccezione per il
  • 5. caso trentino, sia caratterizzato da una certa “polverizzazione”, la rete può essere effettivamente una soluzione per il futuro di tante cooperative perché appunto ne aumenta le potenzialità che da singole non avrebbero. Secondo lui la ragione per la quale fino ad ora il modello non abbia riscosso tanto successo risiede nel fatto che il modello di rete, come già detto, non è esattamente snello e le pratiche che richiede sono abbastanza macchinose, inoltre, secondo la sua opinione, nonostante le iniziative che si sono svolte sul territorio per approfondire la tematica quanto meno a livello provinciale, probabilmente ci sono state delle lacune comunicative. Nel dimostrare qualche applicazione di successo delle reti ha fatto l’esempio della cooperativa San Marco di Peschiera. Questa cooperativa sociale che si occupa di impiegare in attività produttive persone portatrici di handicap, ha stipulato una rete d’impresa con l’azienda di trasporti locale per far sì che le persone con disabilità potessero muoversi più agevolmente sul territorio. Grazie alla creazione della rete, mettendo insieme le forze di entrambi, sono riusciti a vincere un appalto e a far sì che il loro progetto andasse a buon fine. Con le reti d’impresa diventa possibile la collaborazione tra imprese (cooperative) appartenenti a settori diversi, non solamente allo stesso settore, in questo modo diventa possibile creare delle sinergie che portano a risultati che altrimenti molto difficilmente potrebbero essere raggiunti. Qui sta indubbiamente il maggiore fattore di innovazione, nel fatto di riuscire ad utilizzare le rispettive “skills” in modo tale da raggiungere un maggior vantaggio reciproco per se stessi e poi, soprattutto nel caso delle cooperative, per la comunità e per il territorio in cui si agisce. Sarebbe indubbiamente interessante riuscire a portare in una realtà come Verona un modello più integrato come quello Trentino per far sì che la capillarità dell’azione e l’unità facilitino anche la creazione di reti tra le cooperative. Naturalmente un sistema unitario sarebbe terreno più fertile di collaborazione rispetto ad uno più frammentato. La cosa che trovo più interessante è la possibilità di una collaborazione “intersettoriale”, credo che lo scambio di informazioni e di abilità sia la forza vera della rete.