(Go: >> BACK << -|- >> HOME <<)

Academia.eduAcademia.edu
Ars typographica usum calami non inhibuit, sed celebriorem reddidit. (Comenius, Via Lucis) EPISTEME dell’Antichità e oltre Collana diretta da Diego Poli 18 IN LIMINE FRONTIERE E INTEGRAZIONI a cura di Diego Poli Roma 2019 Volume pubblicato con il finanziamento del Dipartimento di studi umanistici SeLLF dell’Università di Macerata e del Prin 2017, Prot. 20172F2FEZ In copertina: Les dialectes n’ont pas de limites naturelles, Ferdinand de Saussure. “Liminalità: attraversamento e antagonismo” nello specchio rovesciato di Enrico Pulsoni. © «Il Calamo» di Fausto Liberati s.n.c. Tutti i diritti riservati ISBN 9788898640379 Per ordinazioni / Orders to be sent to: Editrice “Il Calamo” s.n.c. Tel. 06.98968058 - Fax 06.98968062 INTERNET http://www.ilcalamo.it E-mail: info@ilcalamo.it I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a un processo di peer review che ne attesta la validità scientifica CARLA CUCINA IL CONFINE DEL TESTO. DINAMICHE IN LIMINE NELLA TRASMISSIONE DELLA POESIA ANGLOSASSONE 1. Definizione Delle coorDinate critiche cenno al Prologo Del Guthlac a) e metoDologiche (con un Due aspetti risultano particolarmente rilevanti quando si voglia riflettere sulla letteratura inglese antica dal punto di vista della sua immediata e materiale contestualizzazione1. uno è la “fissità” della tradizione ecdotica ovvero il fatto che le edizioni dei testi – soprattutto poetici – anglosassoni mostrino tuttora di uniformarsi ad uno standard consolidato, più volte riproposto nel tempo, che tende a sostituirsi, più che sovrapporsi, allo status originale della trasmissione manoscritta2. così si offrono ad ogni moderna lettura o riflessione critica, in sostanza, testi monolitici, compiuti e inattaccabili, identificati da titoli autonomi (che non compaiono di norma nella tradizione anglosassone, quasi sempre anepigrafa, e che infatti si rivelano spesso di formulazione assai variabile) e talvolta oggetto di avventurose ipotesi di attribuzione autoriale (il più delle volte, naturalmente, impossibile). Per opere o “stringhe” testuali quasi sempre anonime e preservate pressoché esclusivamente in copia unica, come è il caso della poesia insulare nei secoli dell’alto medioevo, appare invece tutt’altro che irrilevante valutare attentamente non solo la mise en page, ma anche l’immediato contesto redazionale, ovvero ciò che precede e segue nella compila1 tale riflessione prende rinnovato avvio, nei tempi più recenti, grazie al lavoro di fred c. robinson, in una serie di contributi pubblicati negli anni ottanta del secolo scorso (robinson 1980; 1981; 1987; 1989), poi raccolti in un fondamentale volume (robinson 1994). alla memoria dell’impareggiabile studioso e professore di Yale, che mi ha onorato della sua amicizia, dedico questo breve contributo ad una questione – cruciale nella tradizione letteraria inglese più antica e squisitamente filologica – che molto lo ha interessato. 2 la querelle sulla opportunità di “destrutturare” (o talvolta ignorare) la mise en page di un testo manoscritto a vantaggio della sua presunta dignità autoriale – e della sua leggibilità come opera letteraria – non sembra in verità potersi dire conclusa. Sul piano del metodo ecdotico, si tratta sostanzialmente della opposizione ed eventuale combinazione di edizione critica e edizione (semi-)diplomatica, ovvero della tendenza ad apporre un filtro filologico più o meno rigido alla interpretatio. cfr. gneuss 1973; o’Brien o’Keeffe 1990; lapidge 1991; Keefer 1992, poi ampiamente ripreso in Keefer 1998. 333 zione scritta, rifuggendo quindi dal comodo e rassicurante ricorso ad una segmentazione per blocchi rigidamente definiti, chiusi e isolati, che in fondo semplicemente attualizzano la nostra percezione dell’opera letteraria medievale e tuttavia la modificano nel profondo. il secondo aspetto riguarda la particolare “promiscuità” (con)testuale – intendo di generi, temi, ispirazione – che si registra nella maggior parte dei manoscritti prodotti dal primo medioevo anglosassone, soprattutto per la poesia; con casi molto noti, che vanno dall’exeter Book, al codice di Vercelli, ad alcune particolari sezioni incorporate in compilazioni o aggregazioni manoscritte meno omogenee per tratto stilistico (poesia e prosa) o per contenuti (materia cristiana o derivante da più varie contaminazioni). tanto che, ad esempio, una delle questioni meno risolte dalla ormai più che secolare indagine critica sulla composizione della corposa miscellanea poetica exoniense risulta proprio – e ancora – la definizione di un criterio – logico, estetico o funzionale – che spieghi la giustapposizione scrittoria di testi diversissimi, apparentemente incoerente o al più impressionistica, e invece probabile registrazione di un fluire pressoché ininterrotto di poesia, agganciato in unità singole o multiple successive (la materia cristologica iniziale, gli exempla agiografici e dottrinali riferiti ai santi e all’uomo comune, le sequenze catalogiche, le massime, gli indovinelli) che sarebbe opportuno non decontestualizzare del tutto (liuzza 1990; muir 1994, i, 1827; Pasternack 1995, 175-179; zimmermann 1995, 1-5 e 91-182; cucina 2008, 17-21). in altri termini, mi pare che un punto di svolta dell’indagine filologica – ecdotica e analitica – sulla poesia anglosassone si sia rivelato (o’Brien o’Keeffe 1994; Scragg 1998, 69) e possa ulteriormente risiedere in una rinnovata e più estensiva attenzione al dato oggettivo e immediato della copiatura manoscritta, in particolare nella ricerca di una “continuità” testuale – o se si vuole redazionale – che è latente nei codici e che lambisce i confini (veri o presunti) delle unità compositive che in essi si trovano. allo stesso tempo, si dovranno rileggere tali unità con occhi nuovi, oltre le incrostazioni editoriali – per dir così – che ne hanno segnato la fruizione moderna. alcuni esempi evidenti di tale continuità redazionale, già segnalati per potenziale rilevanza critica dagli studiosi, sono sembrati nel tempo acquisire un valore quasi paradigmatico del fenomeno. in questo senso, il cosiddetto Prologo del Guthlac a nell’exeter Book rappresenta uno dei casi certamente più noti di possibile (con)fusione liminare3. Si tratta, in sostanza, 3 Per ripercorrere la lunga storia ecdotica e critica sull’argomento, si faccia riferimento soprattutto a Schaar 1949, 104-108; roberts 1979, 15-17; liuzza 1990, 1-2. 334 dei primi 29 versi del poema secondo la versificazione corrente, fissata nelle edizioni standard (Krapp-Dobbie 1936 e roberts 1979). ma la questione della effettiva pertinenza al testo del Guthlac a di questa sezione poetica sull’accoglienza in cielo dell’anima di un giusto da parte di un angelo appare in realtà controversa: intanto, perché non si può escludere una altrettanto diretta connessione – sia tematica sia formale (particolarmente lessicale e stilistica) – con la parte finale della trilogia cristologica che precede nell’exeter Book, incentrata infatti sulla visione corale della beatitudine del Paradiso; e poi perché gli indicatori grafici e redazionali dei confini testuali, soprattutto lo spazio interlineare e le maiuscole, non appaiono in tal senso risolutivi. in verità in questo caso risulta marcato con l’evidenza di un rigo di maiuscole l’inizio di una nuova sezione; ma la prassi del copista di exeter non dà garanzie di coerenza e rigore su quali indicatori paleografici (rigo di capitali di modulo maggiore e/o variabile, una lettera iniziale più elaborata o estesa seguita da alcune capitali, due o tre maiuscole di modulo minore etc.) marchino cosa, se l’inizio di una poesia, di una sezione interna di un componimento più ampio ovvero di una sequenza ritenuta unitaria di poemetti (liuzza 1990, 3-4). Si aggiunga inoltre che la figura del santo eremita inglese viene introdotta soltanto al v. 93 (ultimo rigo del f. 33v: stacco interlineare e capitale grande, seguita da capitale di modulo minore), dopo che una generale considerazione del declinare delle virtù cristiane fra gli uomini eleva tutti i santi a modelli esemplari della fede; sicché tale ulteriore dilazione prefatoria renderebbe quella prima sezione eventualmente un prologo del prologo, ritenuto non strettamente funzionale – e addirittura ascrivibile a cynewulf come “coda” (o iV parte) della trilogia cristologica iniziale – ancora da howard (1930, 354: «an unnecessary prelude to a prelude»). nonostante la critica abbia lavorato negli ultimi decenni soprattutto in direzione di un tendenziale riconoscimento – o giustificazione – dell’unità compositiva di ciò che segue christ c, avallando la corrente numerazione dei versi4, il dubbio tuttavia rimane5, né la migliore acribia analitica sembra essere stata in grado di garantire una soluzione che possa dirsi definitiva. tanto più che ai vv. 3031a (l’avvio del “secondo prologo”) si produce un attacco formulare perfetto per marcare l’inizio di un componimento (Monge sindon geond middangeard / hadas under heofonum «molte sono nel mondo le condizioni degli uomini sotto i cieli»6; cfr. the Panther 1-2a, che apre la sequenza 4 5 6 cfr. ad esempio Shook 1961; calder 1975, 66-69; Sharma 2002. cfr. ad esempio Woolf 1966, 56; lipp 1971. tutte le citazioni dai testi anglosassoni sono qui tratte dai volumi della serie the 335 del Physiologus nello stesso exeter Book: Monge sindon geond middangeard / unrim cynn «molte sono nel mondo le innumerevoli specie»), e si può dunque facilmente sostenere che tale sequenza poetica fosse in origine autonoma e prevedesse già un proprio incipit, poi non registrato come tale nel processo di copiatura. mi pare che un punto di vista molto interessante, che emerge con particolare, limpida chiarezza proprio dalla disposizione relativa delle sequenze poetiche di christ e Guthlac e dei loro segmenti liminari, risieda nella sottile ma cruciale differenza fra il ritenere da un lato con Jane roberts che la scelta del compilatore di exeter si riveli in questo caso guidata appunto dalla somiglianza delle scene di radiosa beatitudine delle anime dei giusti fra due unità poetiche integre e solo “riprodotte” nel processo di copiatura (roberts 1979, 49) – in altri termini poste in relazione puramente esterna –, e dall’altro con roy liuzza che tali versi liminari siano invece felicemente “arrangiati” (o forse interpolati, in termini di ecdotica tradizionale) per fornire una transizione o “cerniera” (hinge) fra il tema del giorno del giudizio (christ c) e l’immagine proiettata alla beatitudine di san guthlac: «Guthlac 1-29 is, in musical terms, a segue, a literary apo koinou» (liuzza 1990, 9). con la sottesa percezione che, come si diceva all’inizio e come è vero per molti altri casi esemplari tratti dalla poesia inglese antica (cfr. qui avanti gli Exeter Riddles e the Rewards of Piety), controversie di questo tipo nascono piuttosto dalla preoccupazione del tutto moderna per l’unità (o integrità) testuale, basata sul preconcetto che il redattore di un manoscritto nel periodo anglosassone sia solo un riproduttore fedele e che i testi si presentino dunque inalterati in compilazioni simili alle moderne antologie, in altri termini emergendo immutati da un processo di copiatura affine alla duplicazione. il che, come è stato recentemente suggerito a seguito di attenta valutazione documentale variata su base tipologica (Bredehoft 2014, 2357), evidentemente non è. Poste tali premesse, si esamineranno dunque in quanto segue alcuni altri casi funzionali al nostro punto di osservazione. Si voglia considerare che si potrà solo e fugacemente dare qui spazio a spigolature testuali che offrano parallelismi e/o comparazioni interessanti al fine sia di circoscrivere gli elementi essenziali d’indagine sia di offrire una serie di spunti per ulteriori, più organiche o specifiche, riflessioni. e si voglia ugualmente subito ammettere che tale approccio più direttamente contestuale alla materia poetica preservata nei manoscritti anglosassoni ha conosciuto negli ultianglo-Saxon Poetic Records, ovvero in particolare da Krapp-Dobbie 1936 e Dobbie 1942. le traduzioni in italiano sono mie. 336 mi decenni una certa fortuna critica e risultati già rilevanti – se non risolutivi – almeno per alcuni di questi prodotti letterari segnati da più evidenti ambiguità liminari nel loro ambito di trasmissione. 2. l’orDine Del temPo: PRaEfationES in VerSi alla cRonaca angloSaS- Sone nel manoScritto lonDon, BritiSh liBrarY, cotton tiBeriuS B. i (teSto c) che risultati significativi possano scaturire da una lettura attenta e ponderata di eventuale materia prefatoria apparentemente incongrua nei manoscritti anglosassoni è già emerso talvolta con evidenza, sia come indicazione metodologica sia come effettiva applicazione analitica (Pulsiano 1998). ugualmente, è gia stato dimostrato, proprio in relazione al manoscritto c della cronaca anglosassone di cui qui si tratta, che una valutazione accurata della mise en page può offrire soluzione critica a questioni di aggregazione e adattamento di testi esogeni e imputabili di incoerenza rispetto all’immediato contesto di trasmissione, come ad esempio il caso del cosiddetto Mercian Register, nucleo narrativo unitario e integro – in latino e verosimilmente poetico all’origine – sulla figura di Æðelflæd di mercia (Szarmach 1998). il manoscritto london, British library, cotton tiberius B. i, oltre a contenere il cosiddetto testo c della cronaca, preserva in effetti altra materia assai interessante per lo studio dei criteri di aggregazione testuale privilegiati nella prassi scrittoria insulare. intanto, il codice risulta composito, ovvero segnato da una prima foliazione – e dunque compilazione – autonoma (ff. 3r-111v), relativa alla preservazione dell’orosius anglosassone – libera versione alfrediana degli historiarum adversos paganos libri septem di Paolo orosio (Bately 1980) – e prodotta nel primo secolo Xi (Ker 1957, 253, no. 191; gneuss 2001, 68, no. 370). a questa segue, sugli attuali ff. 112r-164r, un’ampia sezione unitaria, di poco più tarda, che si vuole qui definire organica e continua, dedicata sostanzialmente alla redazione di annali fino al 1066 (il testo c della cronaca), ma introdotta da materia poetica calendariale e gnomica (ff. 112r-115v). tale materia è ciò che la critica moderna conosce e frequenta come Menologium (Karasawa 2015) e Maxims ii (Dobbie 1942; Shippey 1976, 76-79), di solito svincolando ogni valutazione ecdotica o considerazione analitica sia dal contesto storiografico in cui i testi appaiono incardinati sia dalla situazione manoscritta. la più recente edizione critica del testo c della cronaca (o’Brien o’Keeffe 2001) presenta finalmente una piana restituzione dell’intera sezione riferibile alla 337 metà del secolo Xi (Ker 1957, 253, no. 191; gneuss 2001, 68, no. 370.2), compresa la sequenza preliminare al registro annalistico; poiché la prima delle sette mani cui si deve complessivamente questa redazione della seconda parte del codice7, che segue anche nel tempo (o’Brien o’Keeffe 1998, 138-141) la copia dell’orosius, ha trascritto sia i versi di Menologium e Maxims ii sia i primi tre fogli del testo della cronaca. che tale sequenza possa considerarsi materia preliminare della cronaca è stato presto suggerito (Dobbie 1942, lx) ed anche, dopo più attenta valutazione, recentemente ribadito (o’Keeffe 2001, xx; Karasawa 2015, 5-158). Quello che mi sembra interessante sottolineare, tuttavia, è soprattutto la evidenza della testimonianza paleografica, che marca indubitabilmente l’inizio della sezione annalistica proprio all’avvio del Menologium, che viene dunque inteso come necessaria guida – predisposta nella forma metrica tradizionale e, coerentemenete al contesto, in vernacolo – alla griglia calendariale liturgica su cui incardinare la cronologia relativa annuale delle singole entrate della cronaca anglosassone9; griglia che appare da un lato storicizzata grazie all’uso ellittico dei tempi verbali, dall’altro intrecciata al ciclo naturale delle stagioni (head 1999, 155-158). Si noteranno (cfr. appendice, fig. 1) la maiuscola iniziale fittamente ornata10, i due righi pressoché completi di capitali dal modulo maggiore e il contrasto cromatico dell’inchiostro rosso-arancio impiegato per le capitali del primo rigo, a restituire la sequenza iniziale criSt WÆS acen ǀ nYD. cYninga Wuldor (crist wæs acennyd, cyninga wuldor, v. 1): 7 una ottava mano del secolo Xii è responsabile di un’aggiunta, sul f. 164r, relativa allo stesso anno 1066 (o’Brien o’Keeffe 2001, xxxvii). 8 Significativa in questa sede si rivela in particolare l’ipotesi di Karasawa che Menologium e Maxims ii possano essere stati copiati nel manoscritto a costituire un collegamento fra l’orosius antico inglese e la cronaca anglosassone, lunghi testi in prosa di carattere stori(ografi)co e di variabile incidenza geografica e cronologica; con la convinzione sottesa del fine essenzialmente istruttivo affidato allo stesso Menologium, come guida alla comprensione dello slittamento del modo di contare il tempo fra antichità (romana) e medioevo (anglosassone). 9 la rilevanza degli indicatori paleografici è stata del resto opportunamente sottolineata anche per la stessa strutturazione interna del Menologium, che apparirebbe chiaramente ripartito in quattro sezioni in accordo con il ciclo di solstizi e equinozi compreso fra due successive festività del natale, dunque evidentemente secondo una divisione autoriale e nel presupposto che «the christian year itself […] is the main theme of the poem; the poet defines it by locating the major feasts constituting it» (Karasawa 2015, 53). 10 un motivo a intrecci zoomorfi, in inchiostro marrone, interessa il corpo della lettera; lo spazio al centro è occupato dal disegno di un’aquila (riempito d’inchiostro color avorio). il tipo ornamentale risulta coerente a quello classificato come Wormald iib (cfr. Wormald 1945); i tratti risultano evidenziati appena in rosso. cfr. o’Keeffe 2001, xxxix. 338 criSt WÆS acen ǀ nYD · cYninga Wuldor · ǀ onmidne winter · mære þeoden · ece ælmihtig (crist wæs acennyd, cyninga wuldor, / on midne winter, mære þeoden, / ece ælmihtig «cristo è nato, il re della gloria, nel mezzo dell’inverno, l’onnipotente eterno»; Men 1-3a) Si noterà altresì che tale impressione rispetto al contesto manoscritto è stata facilmente condivisa dallo stesso robert cotton, autore dell’annotazione tracciata sul margine superiore del foglio, prima del titolo, nella quale si legge per l’appunto «cronica Saxonica abbingdoniæ ad annum 1066» (o’Keeffe 2001, xxi) e con la quale dunque si intende indicare l’inizio della sezione annalistica del codice. anche la marcatura paleografica dell’avvio di Maxims ii (cfr. appendice, fig. 2) segnala d’altro canto una segmentazione testuale insieme certa (un rigo di capitali in inchiostro rosso-arancio, la prima di modulo maggiore) e apparentemente consequenziale sul piano logico (cfr. l’immediato richiamo lessicale affidato al sostantivo iniziale cYning): cYning Sceal rice healDan ǀ ceastra beoð feorran gesyne · orðanc enta geweorc · þa þe on ǀ þysse eorðan syndon · wrætlic weall stana geweorc (cyning sceal rice healdan. ceastra beoð feorran gesyne, / orðanc enta geweorc, þa þe on þysse eorðan syndon, / wrætlic weallstana geweorc «il re deve mantenere il controllo del regno. i castelli si vedono da lontano, sapienti opere dei giganti, che si trovano su questa terra, mirabili costruzioni che innalzano muri di pietra»; Mxm ii 1-3a) il punto è semmai la configurazione “gerarchica” dei due incipit, che variamente segnalano la materia preliminare della cronaca. Questa prende l’avvio alla fine del foglio successivo (f. 115v), segnalata di nuovo con grande rilievo paleografico (cfr. appendice, fig. 3), introducendo con la menzione della nascita di cristo al senso da qui in poi portante nel codice del tempo cronologico (o assoluto), dopo aver fissato come si è visto i punti cruciali del cerchio dell’anno (tempo ciclico): Ær criSteS geflÆ ǀ scnesse · lx· wintra gaius iulius se casere ǀ ærest romana brytenland gesohte (Ær cristes geflæscnesse lx wintra Gaius iulius se casere ærest Romana Brytenland gesohte «Sessanta inverni [scil. anni] prima della nascita di cristo, caio giulio cesare per la prima volta invase la Britannia romana») la testimonianza del manoscritto pone dunque un interessante problema rispetto alla collocazione delle cosiddette massime, che devono 339 intendersi “intermedie” ma prevalentemente agganciate alla sezione del Menologium. ora, la soluzione offerta all’occasione, come lectio facilior codicologica, di ritenere l’aggregazione di Maxims ii al Menologium direttamente imputabile al manoscritto tratto a modello dal copista (Whitbread 1948) non convince del tutto, e soprattutto non sembra necessaria alla luce di una più attenta valutazione analitica – topica e strutturale – della sequenza di versi gnomici (Bollard 1973; Shippey 1976, 13-15; cavill 1999, 178183). la quale sembra potersi configurare come un’affermazione dei dati di realtà insieme naturali e sociali del mondo, con un fine latamente didattico (presentare ciò che in verità tutti sanno) lontano da ogni intento di costruzione narrativa o di strutturazione coerente; recuperando in tal senso una felice definizione di taylor, il quale intendeva le Massime anglosassoni (exoniensi e cottoniane) come «a ninth- or tenth-century time capsule», quasi un archivio che rispecchia e prescrive i valori eroici tradizionali su cui si fonda l’ordine della società inglese pre-normanna (taylor 1969, 407). Si comprenderebbe allora la scelta di affidare alla sequenza poetica Maxims ii una funzione prefatoria rispetto alla cronaca, poiché nel rapporto metaforico sempre sotteso nel poemetto fra ordine perfetto ed immutabile delle cose di natura governate da Dio e la ricerca di un equilibrio stabile nei rapporti fra gli uomini si insinua in particolare la necessità di offrire un paradigma forte e condiviso sia della corretta gestione del potere (regale) sia del rispetto dei valori etici consolidati (ciò che è atteso dai guerrieri o dalle donne). Se, in altri termini, «it is the social context which makes sense to the [poem], and the [poem which makes] sense of the social context» (cavill 1999, 183), a emergere quale motivo dell’inserimento testuale nel codice sarà proprio tale volontà di definire o inquadrare il background culturale in cui si situano gli eventi registrati negli annali che seguono, da quelli più significativi relativi alla storia passata ai fatti di una cronaca secondo i casi anche più minuta e locale. la centralità dell’autorità divina e politica – viste in costante relazione metaforica rispetto all’ordine dell’universo (macrocosmo) e alla vocazione dell’uomo all’interazione sociale (microcosmo), e proiettate nel tempo ciclico dell’anno e nella cronologia assoluta che si dispiega dalla nascita di cristo – emerge in fondo già negli incipit delle tre sequenze. Questi infatti identificano nel comune richiamo alla “regalità” tre piani attraverso cui intendere e razionalizzare la storia: il piano della storia della salvezza (cfr. il Menologium che apre sulla nativitas christi), quello delle vicende legate alla civitas terrena, dei ruoli o della πρᾶξις che questa prevede (cfr. l’attacco di Maxims ii sulla pace garantita dal sovrano e realizzata tramite il controllo organizzato del territorio [i castra]), e infine quel340 lo della cronaca, il corso continuo degli avvenimenti che conosce un solo vettore e non prevede ritorni, ma pur sempre è incardinato sulla data fondante dell’avvio dell’era cristiana (cfr. l’inizio della cronaca con l’aggancio enfatico della cronologia alla nascita di cristo). gli stessi incipit richiamano inoltre immediatamente tre ordini del tempo: rispettivamente, il tempo liturgico e stagionale che annualmente si rinnova (tempo ciclico), quindi il tempo della vita dell’uomo, misurato sulla natura delle cose del mondo (tempo finito), infine il tempo che si dipana secondo un valore assoluto attribuito rispetto alla data d’inizio dell’era cristiana (tempo lineare). rispetto alla composizione del codice che preserva il testo c dell’anglo-Saxon chronicle, e in particolare riguardo alla organicità liminare dei due componimenti che questo precedono, si viene delineando così una più che plausibile aggregazione funzionale di sezioni poetiche prefatorie; aggregazione rispondente, dunque, ad un principio di coerenza, il quale è potuto emergere solo grazie ad un incrocio del dato contestuale materiale e immediato (il manoscritto) con una più attenta valutazione interna dell’intera sequenza testuale11. 3. il gioco liminare Dei RiddlES nell’eXeter BooK: SaGa hwÆR ic EndE la questione apparentemente più spinosa dell’approccio critico ai cosiddetti riddles o aenigmata anglosassoni di trasmissione exoniense (tupper 1910; Krapp-Dobbie 1936; Williamson 1977; muir 1994) si fonda su un dato che è d’immediata evidenza nel manoscritto, ovvero sulla scelta del redattore di non inserire le soluzioni dei singoli indovinelli nell’apparato paratestuale. Pur nella indubbia connessione degli Exeter Riddles con la produzione di genere di matrice e di lingua latina, dunque, tale dato relativo alla mise en page differenzia queste brevi unità compositive dai loro analoghi più prossimi (talvolta, dalle stesse fonti dirette), che erano di norma trasmessi con preliminare e/o contestuale indicazione esplicita delle soluzioni12. Si deve quindi immediatamente rilevare che la tradizione anglosassone appare privilegiare ovvero sollecitare soprattutto la curiosità enigmistica del pubblico di diretti fruitori del o dal codice; oppure forse si 11 Per alcune riflessioni su ulteriori, specifici indizi dell’azione di tale principio di coerenza – dall’eco lessicale alla iterazione topica – si veda robinson 1980, 26-29. 12 Sull’incidenza della tradizione latina degli aenigmata in ambiente anglosassone si vedano specialmente orchard 2005; Bitterli 2009; Salvador-Bello 2015, 12-56, lendinara 2018, 636-642. 341 deve in particolare al copista dell’exeter Book la scelta, organica rispetto alla disposizione di tutte le unità testuali nel manoscritto, di omettere ogni eventuale titolatura o altro corredo di paratesto avesse eventualmente a disposizione nel modello. Sia come sia, come per i monaci intenti ai loro ioca nel primo medioevo inglese, anche per i filologi dell’età moderna l’interesse è parso dunque prevalentemente risiedere nella ricerca del significato da attribuire allo scioglimento del singolo enigma; operazione di per sé non agevole ed anzi insidiosa, poiché è apparsa nel tempo sempre più evidente proprio nei riddles la peculiare abilità dei poeti anglosassoni a giocare con raffinate ambiguità lessicali e polisensi (robinson 1975). ma c’è un altro elemento di criticità esegetica che riguarda in particolare i riddles exoniensi, il quale emerge con evidenza fin dalla pura constatazione dell’entità numerica – che si deve tuttora ritenere presunta – del corpus. Poiché, se le soluzioni proposte dagli studiosi per l’identificazione del referente o valore extralinguistico celato nei singoli indovinelli risultano all’occasione straordinariamente variabili13, altrettanto incerti si mostrano i confini stessi delle diverse unità nella lunga e omogenea sequenza testuale in questa parte del manoscritto. frequenti si sono sollevati e tuttora si sollevano, dunque, interrogativi specifici di liminarità (sicché l’invito formulare a dire quale sia il nome della persona che descrive se stessa nel riddle o a interpretare quale ne sia il senso nascosto – saga/frige hwæt/hu ic hatte «di’/chiedi come mi chiamo», ræd hwæt ic mæne «svela il mio significato» – potrebbe facilmente mutarsi in saga hwær ic ende «di’ dove ho termine»); con la conseguenza immediatamente rilevante sul piano editoriale e analitico che, per l’appunto, la stessa numerazione progressiva convenzionale di tali enigmi appare in verità assai mutevole, e con la necessità di rapportarsi quindi a varie e differenti catalogazioni per una stessa sequenza scrittoria entro il codice14. 13 il saggio-pilota sulle soluzioni degli indovinelli exoniensi è stato per lungo tempo – ed è tuttora sul piano della ricostruzione critica – Dietrich 1859. Per un aggiornamento al 1981 sulle varie proposte di scioglimento degli stessi enigmi si faccia riferimento a fry 1981. 14 Per comodità, la maggioranza degli studiosi si riferisce alla “partitura” – e dunque alla numerazione – degli Exeter Riddles proposta nella edizione Krapp-Dobbie 1936, senza tuttavia poter prescindere, dopo gli anni Settanta del secolo scorso, dalla diversa classificazione offerta in Williamson 1977, classica monografia organica sull’argomento. alle note sui singoli indovinelli ivi contenute si rimanda anche per le varie oscillazioni numeriche registrate nelle edizioni precedenti; per le edizioni successive si vedano soprattutto Pinskerziegler 1985 e muir 1994. in questa sede, i versi saranno citati con rispetto della convenzione tuttora corrente, nonostante si ipotizzi più avanti per la lunga sequenza iniziale (Rid 1-3) una partitura sì ternaria, ma riferita ad una unità compositiva sostanziale. 342 il manoscritto offre, del resto, indizi o segnali di segmentazione testuale enigmatici essi stessi, talvolta convincenti ma mai, proprio in virtù di un uso degli indicatori non omogeneo né regolare, pienamente risolutivi. e molti si rivelano, soprattutto nell’ultima parte della raccolta (e del processo di compilazione), i casi incerti di continuità vs. separazione delle unità compositive, a testimoniare – come è stato suggerito – una prevalente incuria o improvvisazione del copista in questa sezione finale eclettica in termini tipologici e tematici (cfr. ad esempio le sequenze dei Riddles 68-69, 79-80 e 75-76; Salvador-Bello 2015, 398-402). mentre un dato che appare in questo senso significativo risulta comunque la tendenza ad aggregare due o talvolta più indovinelli di materia affine o complementare, secondo un procedimento comune anche alla produzione latina del genere e funzionale alla illustrazione didattica (lendinara 2018, 646-647). il caso forse più “critico” di liminarità testuale si trova tuttavia entro il raggruppamento dei riddles exoniensi più coerente con la tradizione degli aenigmata (cfr. “group 1 [Riddles 1-40]” in Salvador-Bello 2015, 291-344) ed è rappresentato dalla lunga sequenza iniziale, che definisce infatti il primo e principale contenzioso numerico nelle edizioni moderne e in genere nella letteratura analitica. Se si eccettua la scelta di thorpe (1842), ripresa da tupper (1910), di catalogare come primo dei riddles il breve componimento latamente “enigmatico” che noi chiamiamo wulf and Eadwacer – il quale precede immediatamente nel manoscritto la serie unitaria di indovinelli che apre sul f. 101r –, tale sequenza viene per convenzione editoriale segmentata come Riddles 1, 2 e 3 (Krapp-Dobbie 1936, muir 1994), anche quando l’analisi strutturale e topica sembra piuttosto procedere ad una valutazione unitaria del passo15. ma, a ben vedere, frequente è ugualmente l’indicazione critica a ritenere quest’ultimo un’aggregazione di due enigmi (1+2-3), come sembrerebbe suggerire l’uso delle maiuscole nel codice (Krapp-Dobbie 1936; Salvador-Bello 2015, 296-297); e già antica (la prima volta trautmann 1894, 46 e 48; erlemann 1903; trautmann 1915) risulta l’ipotesi di intenderlo invece una sola unità testuale, articolata e coerente (così anche Williamson 1977 e Pinsker-ziegler 1985), ritenuta potenzialmente assai ricca di echi e suggestioni classiche (ora soprattutto lapidge 1994), bibliche e della latinità tardo-antica e medievale (erlemann 1903, 49-59; Kennedy 1943, 366-36816; Williamson 1977, 130-133). 15 già tupper mostrava del resto di intendere i suoi riddles 2-4 più in senso unitario che non come poemetti propriamente autonomi, quando segnalava che tale “Storm-cycle” sugli aspetti cosmici della natura costituiva «the greatest of the riddles» (tupper 1910, lxxxvi). 16 Kennedy argomentava tuttavia a favore di una unità compositiva stringente, su 343 l’incertezza dei ricercatori insiste sul dato topico portante che i cosiddetti Riddles 1-3 siano latamente monotematici, con sviluppi articolati entro il campo semantico della “tempesta” (Storm riddle[s] ne è infatti una corrente etichetta alternativa); ma da un lato la soluzione enigmistica apparentemente “scoperta” che è comune all’intera sequenza, con netta prevalenza di un registro raffinato di descrizione ambientale caratteristico piuttosto della migliore poesia sulla natura (nature poetry) anglosassone, e dall’altro il ricorso a modificatori linguistici di partizione strutturale interna più che di confine testuale esterno (cfr. l’anafora di tempo veicolata da hwīlum «talvolta, a volte», su cui particolarmente nelson 1974, 432-433) mi sembrano elementi significativi per poter ripensare il testo come unitario, a prescindere dalla organizzazione ternaria che segna sia l’unità nel suo complesso (intendi Rid 1-3) sia l’ultimo, più esteso segmento (intendi Rid 3; cfr. trautmann 1915, 65). È un fatto che la scrittura nel manoscritto presenti chiari indicatori paleografici di liminarità solo all’inizio della sequenza (spazio interlineare e capitale grande; cfr. appendice, fig. 4), mentre i punti liminari successivi riproposti sin qui devono intendersi più ipotesi ecdotica e analitica che non frutto di piana valutazione dell’immediato contesto redazionale, dove la sola capitale piccola della parola hwilum (f. 101r, inizio del r. 14), preceduta da punteggiatura (:–), segnala apparentemente, secondo l’uso prevalente del copista, una sezione interna di testo (cfr. appendice, fig. 5); e dove un solo punto a metà del modulo (fine dell’ultimo rigo dello stesso f. 101r), senza alcuna maiuscola all’inizio della pagina successiva, marca il confine presunto con l’ultimo segmento del passo poetico, ovvero il cosiddetto Riddle 317. Da tale contesto emergerebbe semmai, a mio avviso chiaramente, il trattamento unitario della sequenza scrittoria da parte del redattore, che percepisce e tratta evidentemente – o forse rimodula18 – il riddle di apertura della raccolta come elaborazione combase paleografica e strutturale, dei soli 89 versi che costituiscono i tradizionali Riddles 2-3 (cfr. Kennedy 1943, 364-366). 17 Vale la pena di ricordare la ricostruzione del processo di copiatura offerta a suo tempo da erlemann per questa sequenza, che lo studioso considerava «ein mit scharfster Konsequenz aufgebautes ganzes» (1903, 54). lo scriba sarebbe stato indotto dalla prima formula di interrogatio enigmistica a ritenere che un poemetto autonomo si chiudesse al v. 15; avrebbe quindi segnalato con una maiuscola piccola l’inizio di un nuovo riddle (Rid 2, 1 hwilum), salvo poi accorgersi alla seconda occorrenza di hwilum (Rid 3, 1) della stretta correlazione delle parti compositive ovvero strutturali del poemetto, rinunciando quindi a marcare una nuova divisione testuale. la ricostruzione di erlemann presuppone ovviamente che il copista avesse davanti a sé nel modello manoscritto un testo continuo, privo di indicazioni liminari intermedie. 18 Secondo Salvador-Bello (2015, 296), si tratterebbe di poemetti originariamente 344 plessa, puntellata dalla iterazione della interrogatio formulare caratteristica del genere (saga hu/hwæt ic hatte; ma qui anche saga hwa mec þecce [/bregde/rære/stæðþe] «di’ chi mi copre [/suscita/solleva/trattiene]» e, in enunciato diretto, hwa gestilleð þæt? «chi acquieta [tutto] questo?») per rispondere ad una organizzazione interna del contenuto ampia, articolata, variegata nel richiamare immagini diverse e densa di particolari evocativi più di quanto non sia comune nei riddles. Proprio la disposizione del testo sulla pagina manoscritta, dunque, consente di identificare nel primo componimento ritenuto da sempre pienamente coerente con la sequenza degli indovinelli exoniensi le caratteristiche di un testo ad essa non del tutto organico, che sembra trovare il principale motivo del suo posizionamento “enfatico” nella raccolta di enigmi proprio nell’ampiezza e complessità sia strutturale sia topica, e nella raffinata elaborazione formale. motivo cui si deve certamente aggiungere la scelta del tema cosmologico e aggiungerei universale più che adombrato nel poemetto19, ovvero il governo delle forze di natura che (inter)agiscono nel mondo, che provocano cataclismi (uragani, incendi, terremoti, maremoti) sulla terra e nelle acque, reinterpretato sulle concezioni filosofiche degli antichi (erlemann 1903, 366-368 [Plinio, lucrezio]; von erhardtSiebold 1949 [Platone]; lapidge 1994 [Seneca e gli stoici]) in chiave tuttavia decisamente cristiana (von erhardt-Siebold 1949, 888; campbell 1975; foley 1976; neville 1999, 199-200; Salvador-Bello 2015, 291-298). Si avrebbe dunque il caso di un poemetto integrato al genere degli aenigmata – ovvero costruito sui fondamenti dell’impianto del riddle, ma non interamente entro i parametri formali di questo (campbell 1975, 130)20 e ben altrimenti modulato sulle notevoli risorse espressive della poesia descrittiva degli elementi del mondo naturale – che viene posto come “cerniera” autonomi «that were at some point fused into a larger piece in order to provide a typically lenghty cosmological (and even also theological) opening, as is characteristic of latin enigmata»; ipotesi che sarebbe per l’appunto confermata dall’uso incoerente degli indicatori paleografici di liminarità testuale (punteggiatura e lettere capitali) che si osserva nel manoscritto (ibid.). 19 Scelta definita verosimilmente dal rispetto dell’ordine enciclopedico di matrice isidoriana da parte di autori di aenigmata come eusebius (cfr. Enigma 1) e aldhelm (cfr. Enigma 2). Si veda Salvador-Bello 2015, 297-298. 20 cfr. anche l’osservazione di mitchell 1982, 42: «[Previous] interpretations have accepted the face value image of the riddle, in essence, reading riddle 1 as a poem about a storm, rather than as a riddle». l’interpretazione di mitchell, che assegna in effetti un preciso valore di traslato “eroico” alla descrizione delle forze di natura e degli elementi del paesaggio (intuendo nel testo il ricorso a immagini poetiche anglo-scandinave tradizionali relative all’infuriare delle battaglie, agli effetti della guerra, all’abbattimento di guerrieri), si fonda proprio sulla convinzione che mancherebbe altrimenti al poemetto, pur unitariamente inteso, la condizione essenziale dell’enigmaticità richiesta al genere riddle. 345 (hinge) fra la serie poetica che precede (deor, wulf and Eadwacer) e la raccolta di brevi indovinelli composti secondo il canone anglo-latino corrente, che segue. il che in altri termini significa che – per curioso paradosso metodologico contrariamente al nostro assunto iniziale di imprescindibilità dell’immediato contesto materiale – tale poemetto allo stesso tempo può, e forse deve, essere meglio apprezzato nella sua peculiare struttura autonoma, la quale fonde elementi e registri propri anche della lirica elegiaca, della prosopopoeia intesa in senso più ampio e della parenesi simbolica cristiana, utilizzando le forme di interrogatio tipiche del riddle (ma qui con più insistenza e originalità sintagmatica, nonché in più stretta osservanza retorica [pleonasmo]) quasi come refrain di marcatura strutturale e topica, esattamente come si osserva nel deor. un poemetto apprezzabile dunque non solo come parte della compilazione latamente ovvero incompiutamente enciclopedica e isidoriana degli Exeter Riddles (Salvador-Bello 2015, 284-437), ma anche come più originale rielaborazione che celebra, pur filtrando le convinzioni naturalistiche e cosmologiche prescientifiche dell’antichità21, il potere superiore di Dio di pacificare in armonia sia le forze naturali del mondo sia forse, nel senso metaforico che spesso muove le descrizioni ambientali nella poesia anglosassone (il mare, l’avversità degli elementi, le asperità estreme del clima, le devastazioni), le stesse turbolenze spirituali dell’uomo. un dato che infatti mi sembra particolarmente caratteristico dell’intera sequenza poetica risulta il punto di vista costantemente antropocentrico, che registra degli effetti dirompenti e all’occasione distruttivi degli elementi naturali soprattutto le conseguenze sconvolgenti per l’uomo. così si legge ad esempio, nella terza sezione, di come la pressione sotterranea che irrompe in superficie «scuota le ben salde dimore degli eroi» (eþelstol / hæleþa hrere, Rid 3 7b-8a), sicché hornsalu wagiað, wera wicstede, weallas beofiað, steape ofer stiwitum (Rid 3 8b-10a) (le sale con motivo a corno [intendi: all’incrocio centrale del timpano], le abitazioni degli uomini, tremano; i muri vacillano, incombono alti sugli abitanti della casa) 21 con ogni probabilità a scopo anche didattico (Salvador-Bello 2015, 450). Sull’impiego degli indovinelli exoniensi come strumento d’istruzione scolastica si veda ora specialmente lendinara 2018. 346 oppure di come il mare in burrasca trascini in sua balìa la nave e gli uomini dell’equipaggio: Þær bið hlud wudu, brimgiesta breahtm [...] [...]. Þær bið ceole wen sliþre sæcce, gif hine sæ byreð on þa grimman tid, gæsta fulne, þæt he scyle rice birofen weorþan, feore bifohten fæmig ridan yþa hrycgum. Þær bið egsa sum ældum geywed... (Rid 3 24b-34a) (c’è legno [intendi: della nave] che risuona [intendi: scricchiola, cigola], grida di marinai [...]. c’è per la chiglia [intendi: imbarcazione] il probabile destino di una lotta furiosa, se il mare la trascina via in quell’ora spaventosa, piena [com’è] di anime, finché le verrà portato via il timone, e sarà sconfitta in questa battaglia per la sopravvivenza, dovrà cavalcare immersa nella spuma sul dorso delle onde. c’è terrore manifestato davanti agli uomini...) e ancora si legge, di fronte allo scatenarsi dell’uragano, che rovescia piogge torrenziali sulla popolazione inurbata (Se bið swega mæst, / breahtma ofer burgum, ond gebreca hludast «Si alza un grande rumore, grida sulle città, e fragore che risuona altissimo», Rid 3 39b-40), del terrore che opprime gli uomini: egsa astigeð, micel modþrea monna cynne, brogan on burgum (Rid 3 49b-51a) (monta il panico, una grande intima angoscia per il genere umano, un senso di orrore che fa tremare nelle città...) ora, la visione antropocentrica non confligge naturalmente in sé con il genere dell’indovinello, che tradizionalmente attinge proprio all’universo quotidiano (naturale, materiale e ideale) della società in cui via via si colloca e si realizza. ma, al di là di possibili interpretazioni orientate sulla percezione della limitatezza della comprensione umana dei fenomeni naturali, i quali – si intende – rimangono fuori dal potere di controllo e dal perimetro della conoscenza possibili per l’uomo (Dale 2017, 181-193), nel caso del nostro riddlic poem sullo scatenarsi del 347 vento22 e sui suoi effetti nell’atmosfera, sotto la crostra terrestre e in mare (lendinara 2018, 645) è un fatto che tali effetti siano per l’appunto patiti da individui e comunità, e che l’occhio del poeta insegua le rovine di un paesaggio soprattutto antropizzato, i borghi e gli insediamenti che punteggiano la campagna, squassati dai terremoti o dal vento oppure attaccati dagli incendi (cfr. folcsalo bærne, / ræced reafige «brucio le sale delle genti, devasto gli edifici», Rid 1 5b-6a; Recas stigað, / haswe ofer hrofum «nuvole di fumo salgono, grigie di cenere sopra i tetti», Rid 1 6b-7a). oppure insegua i sussulti delle navi nell’infuriare dei marosi, con le assi che scricchiolano e l’impossibilità di controllare l’imbarcazione, e con il terrore del naufragio che si fa strada nelle menti dei marinai e irrompe nelle loro grida. rappresentando dunque la riduzione in rovina delle opere dell’uomo (i muri, i tetti, le case, le città), lo schianto delle assi della nave che fanno naufragio e il senso di precarietà che incombe sul destino dell’uomo, il poeta attinge in verità ai mezzi espressivi e ai topoi di una tradizione letteraria ben radicata anche nell’ambiente anglosassone, dall’encomium urbis (cfr. the Ruin), alla navigatio cristiana nelle turbolenze del mare vitae (cfr. the Seafarer), alla lirica elegiaca d’esilio sul tema della perdita, che giunge anch’essa a riflettere sulla transitorietà della vita terrena e del mondo (cfr. the Ruin, the Seafarer, the wanderer, the Riming Poem)23. e si vorrà allora ammettere che nel nostro poemetto si verifica sub specie aenigmatis quella significativa convergenza fra microcosmo (l’uomo) e macrocosmo (il mondo) che segna ampiamente la interpretazione cristiana medievale dell’universo anche in ambiente anglosassone (cross 1962), e che pone in speculare, pur allusiva, connessione la storia del mondo e la vita dell’uomo – entrambe votate alla (degradazione della) senescenza e alla fine –, nonché in senso più lato le manifestazioni della natura e gli stati dello spirito, le sollecitazioni estreme della realtà esterna e i turbamenti profondi dell’interiorità dell’individuo (cucina 2008, 157-181, 317-330 e passim). 22 o dello spiritus che alimenta il cosmo, secondo la lettura fondata sul filtro dell’eredità filosofica dello stoicismo proposta da lapidge (1994). 23 cfr. rispettivamente zanna 1991, e abram 2000 (per the Ruin); cucina 2008, 183330 (per il Seafarer e le liriche affini). 348 4. la Sezione Poetica angloSaSSone nel manoScritto camBriDge, corPuS chriSti college 201: rifleSSioni concluSiVe Sul caSo zero Dell’attuale inDagine liminare Del teSto un caso di ridefinizione liminare che, specialmente grazie al lavoro di robinson, ha ricevuto una grande attenzione critica funzionale soprattutto alla nuova impostazione metodologica e all’impulso degli studi di settore negli ultimi anni è quello della sequenza poetica anglosassone inserita nelle pp. 165-167 del manoscritto cambridge, corpus christi college 201, codice composito prodotto fra l’inizio e la metà del secolo Xi (Ker 1957, 8290, no. 49; gneuss 2001, 34, no. 65, 65.5, 66 [no. 65: ff. 1-7, 161-167, sec. Xi in.]). la tradizionale ripartizione editoriale di tale sequenza poneva confini testuali a segnalare, dalla pagina 161, cinque unità distinte, identificate dai titoli moderni Judgement’s day ii, an Exhortation to chritian living, a Summons to Prayer, the lord’s Prayer ii e Gloria i. la materia risulta sostanzialmente escatologica, parenetica-cristiana e penitenziale, caratterizzata inoltre – come ulteriore dato qui significativo – da una certa promiscuità, e quindi liminarità, di prosa e poesia («a model in miniature of the type of generic hybridization seen throughout cccc 201», secondo zacher 2003-2004, 100), particolarmente riguardo alla interpolazione di versioni metriche varianti delle ultime due preghiere entro la prosa del Benedictine office in altro manoscritto (oxford, Bodleian library, Junius 121), nonché in relazione alla connessione testuale stretta che lega i primi 15 versi del secondo poemetto a passi varianti di almeno due omelie in prosa (zacher 2003-2004, 85)24. il che testimonia, una volta di più, che i processi di derivazione e contaminazione dei testi medievali prescindono da ogni netta distinzione fra poesia e prosa (Bredehoft 2004) – come del resto fra latino e vernacolo –, dimostrando una percezione dei “confini” della comunicazione letteraria molto diversa dalle imposizioni classificatorie moderne. ora, la questione specifica riguarda qui la contiguità ovvero continuità di Exhortation e Summons, subito considerati per analisi interna assai vicini ovvero tematicamente coerenti, coevi, probabilmente dello stesso autore (Whitbread 1957), ma sorprendentemente intesi come distinti; mentre l’esame del manoscritto non può che prospettare una diversa valutazione delle unità compositive, con la linea di confine che passa nitida a monte 24 Si tratta delle omelie napier 30 e Vercelli 21. cfr. Scragg 1992, 347-365 (Vercelli 21) e 395-403 (napier 30). Sulla Pseudo-Wulfstan homily napier 30 (in oxford, Bodleian library, mS hatton 113) si veda particolarmente Scragg 1977; l’interrelazione fra questa e alcuni versi della sequenza poetica nel nostro manoscritto di cambridge era già stata oggetto dell’analisi di Whitbread (1948, 193-198; 1949, 178-179; 1951). 349 – la chiusura di Judgement’s day ii, con explicit chiaramente rubricato: her endað þeos bok þe hatte inter florigeras · ðæt is on englisc betwyx blowende þe to godes rice farað · 7 hu ða þrowiað · þe to helle farað «Qui termina questo libro che si chiama inter florigeras, cioè in inglese “fra i boccioli dei fiori” che vanno al regno di Dio, e come si comportano quelli che vanno all’inferno» (caie 1994, 156; 2004, 6-9) – e a valle, per dir così, in questo caso attraverso la generosa spaziatura sia fra le lettere finali di Summons sia nell’interlinea che precede la versione poetica del Pater. D’altro canto, gli indicatori paleografici segnalano con altrettanta evidenza che il testo viene trattato dal copista piuttosto come una unità continua suddivisa in sezioni: così si dovrebbero intendere le maiuscole in inchiostro rosso-arancio interne o extra-marginali sulla pagina 166 del codice. non è qui possibile valutare tutte le implicazioni – testuali e contestuali – della recuperata unità poetica che robinson per primo ha suggerito di intendere come the Rewards of Piety, ovvero come una appassionata apologia del buon agire cristiano che conduce, esso soltanto, alla ricompensa del Paradiso (robinson 1994, 181). ci si deve chiedere, però, sul piano squisitamente metodologico e in chiave propositiva, quali presupposti possano aver guidato la tradizione editoriale moderna a delimitare arbitrariamente la sequenza unitaria del codice. i primi editori, seguendo in ultima analisi il catalogo di Wanley del 170525, ma poi anche leslie Whitbread, che ha dedicato specifica attenzione al testo intorno agli anni cinquanta del secolo scorso (Whitbread 1948; 1949; 1951; 1957), non hanno probabilmente valutato il manoscritto di prima mano, e si sono forse lasciati ulteriormente confondere dai versi anglo-latini di Summons, quindi dallo stile apparentemente variato entro la sequenza. ma versi per così dire “maccheronici” finali non dovevano essere insoliti nella poesia anglosassone, se uno dei più convincenti e raffinati poemi di ispirazione cristiana come the Phoenix presenta di fatto la stessa soluzione per gli ultimi 11 versi (Phoen 667-677 [1° colon in anglosassone, 2° colon in latino], su cui ora cfr. ruggerini 2018), a riprova della solita labilità dei confini – stavolta linguistici, fra vernacolo e latino – che segna la letteratura del primo medioevo inglese quale parte del possibile repertorio dei singoli autori anche di massima raffinatezza, come per l’appunto è il caso rappresentato dal poema che trae spunto allegorico dal carme de ave phoenice attribuito a lattanzio. Del resto, la generale difficoltà ad abbandonare il dato ecdotico tradizionale di ripartizione delle unità poetiche si coglie benissimo proprio nella storia della critica sulla stringa testuale che qui interessa, quando il pur segnalato 25 350 cfr. Wanley 1705, 147; editio princeps in lumby 1876, 28-37. parallelo strutturale con l’inserimento dei versi anglo-latini nell’epilogo di the Phoenix non ha suggerito a Whitbread – come pianamente avrebbe potuto – la possibilità di una considerazione unitaria della sequenza Exhortation-Summons (Whitbread 1957, 127-128). Si vorrà notare, ancora, che sulla pagina 161 dello stesso manoscritto di cambridge l’intera sequenza poetica anglosassone cominciava con una grande capitale in inchiostro verde, che generalmente segnala nel codice l’inizio di una nuova unità compositiva maggiore. Vi era anche un incipit rubricato, che rimandava alla fonte diretta de die iudicii di Beda: «incipit versus Bede presbiter. De Die iudicii. inter florigeras fecundi cespites herbas flamine uentorum resonantibus undique ramis» (l’ultima parte riprende gli esametri iniziali di Beda: inter florigeras fecundi cespites herbas, / flamine uentorum resonantibus undique ramis). Dopo la copiatura di Judgement’s day ii, e il chiaro explicit di cui si è già detto, lo stesso copista continua poi immediatamente con il testo di Exhortation; ma in questo caso non compare alcuna spaziatura interlineare né una grande capitale verde, come se il redattore volesse indicare che qui, dopo la fine della traduzione del lavoro di Beda, comincia un’opera sì originale (cfr. la maiuscola rosso-arancio), ma correlata. e tale vicinanza o collegamento testuale viene poi ulteriormente suggerito sia dal nu iniziale della nuova poesia, connettivo che segnala un’evoluzione di prospettiva entro una sostanziale continuità argomentativa, sia dall’eco perfetta dell’espressione blowende [...] rice del colophon: nu lære ic þe swa man leofne sceal. gif þu wille þæt blowende rice gestigan, þænne beo þu eadmod and ælmesgeorn (Exhortation/Rewards 1-3) (ora io ti insegnerò come si deve [insegnare] a chi si ama: se desideri ascendere al regno che fiorisce, allora sii umile e caritatevole) come se il testo intendesse sollecitare l’individuo – il catecumeno o il penitente –, cui direttamente si rivolge, all’ascolto di quegli insegnamenti che gli garantiranno infine l’ingresso nei cieli di cui cantavano i versi precedenti (intendi: hai udito sinora, dalle parole di Beda, del fiorente regno celeste, ora io ti insegnerò come raggiungerlo). così, infine, si può facilmente ammettere che il problema filologico posto dall’intera sequenza escatologica e penitenziale del manoscritto di cambridge, con la necessaria ridefinizione dei suoi stessi confini testuali e con la sua tendenza a giocare in limine sia fra poesia e prosa, sia fra anglo351 sassone e latino, mostra di riassumere in sé alcune questioni cruciali per la trasmissione letteraria medievale in genere e merita dunque quella specifica attenzione analitica che ne ha fatto il caso zero dell’attuale discussione sull’importanza prevalente dell’immediato contesto redazionale nell’edizione e nello studio delle poesie inglesi antiche (caie 1994; 2004; Bredehoft 1998; zacher 2003-2004)26. È tempo di tirare le fila del nostro breve excursus. Si può dire che la questione della “liminarità” appaia attualmente come uno dei più promettenti campi d’indagine relativi alla tradizione inglese antica, dove il dato materiale (codicologico e paleografico) possa proiettare nuova luce sugli stessi modi del comporre e/o del combinare le unità poetiche. in questo senso, soprattutto, vanno probabilmente ripensati i processi interattivi del testo (scritto) e della sua performance (orale) nelle sequenze previste dai codici, ovvero la stessa modalità compositiva-redazionale, che fissa sulla pagina uno stadio o momento della storia dell’opera piegando questa tuttavia ad un “discorso” più ampio; discorso che prevede inserzioni e anche eventualmente contaminazioni, in un continuo adattamento al contesto più o meno immediato di trasmissione (il manoscritto o altro esemplare da cui esso eventualmente dipenda). in altri termini, gli esempi che abbiamo citato per inquadrare un fenomeno di slabbramento liminare ovvero di aggregazione creativa delle presunte unità poetiche inglesi antiche – più diffuso e incidente di quanto normalmente si creda – convergono verso l’ipotesi di un metodo redazionale che sconfina nella ri-definizione compositiva e che potremmo chiamare di apo koinu letterario, topico e strutturale: ciò che precede si lega – o vien fatto legare – a ciò che segue tramite soluzioni testuali “ponte”, recuperate e/o rimaneggiate secondo criteri di coerenza logicofunzionale e di continuità stilistica fra la fine e l’inizio di sezioni poetiche certamente unitarie27. 26 Si veda anche Baker 1996, il quale – pur in relazione ad altre opere anglosassoni – elabora con condivisibile misura sulle conseguenze critiche più ampie dell’impostazione analitica avviata da robinson sui confini testuali (455, nota 24). 27 Si leggano a tale proposito anche le conclusioni tentate sull’argomento in Baker 1996, 453: «first, it seems clear that anglo-Saxon scribes were not as interested as we are in maintaining the separateness of works within the manuscript or of divisions within the work. Second, works in the manuscript were often arranged so as to promote an impression of continuity between them; indeed, if for us the fundamental and inviolable textual structure is the work, in anglo-Saxon england it was as likely to be the manuscript. third, the sections of works could be re-arranged by scribes […]. this re-arrangement could cause the boundary of a work to shift from the outside to the inside, in effect creating two works from one. finally (one conclusion that seems beyond doubt), understanding the boundaries of medieval texts – the rules that govern them and how they function in particular instances – can contribute to our understanding of the texts themselves and of medieval ideas of textuality». 352 il punto, naturalmente, non è tanto che si debba rinunciare ad apprezzare singoli poemi e poesie per le loro intrinseche, specifiche caratteristiche di lingua poetica, di metro, di elaborazione delle fonti, di focalizzazione narrativa, di ispirazione; ma il punto è che i confini con i testi contigui entro il manoscritto che quei poemi e poesie trasmette non possono essere ignorati. farlo, e dunque leggere le varie unità poetiche senza considerare i passi che le precedono e seguono nel processo di trasmissione, equivarrebbe a precipitare il lettore in medias res (liuzza 1990, 9), e a far perdere la pienezza di pensiero che sottende alla “creazione” di quella sequenza poetica in quel codice28. mentre al contrario il pubblico medievale fruitore di quelle stesse unità poetiche godeva della continuità “performativa” ricavata dal contesto manoscritto, dove spesso – per usare il mezzo visuale e il linguaggio della tecnica cinematografica – le scene narrative si susseguono ovvero si montano per dissolvenza incrociata (e non per stacco) e la messa a fuoco del soggetto beneficia di lunghi piani sequenza, unitari e unificanti, con il punto di vista ovvero l’inquadratura che non muta pur nell’evolversi dell’azione. Sicché il compito di chi oggi si accosti alle opere poetiche del primo medioevo inglese diviene, anche e necessariamente, indagare con cura nella loro realtà di contesto materiale più immediato, al fine di tentare non soltanto di restituire – e talvolta ridefinire – le singole unità entro specifiche stringhe testuali, bensì in aggiunta di ricostruire il processo potenzialmente creativo di adattamento alla collocazione manoscritta che queste stesse unità potrebbero aver subìto. compito non agevole, in verità, ma che ha già offerto risultati incoraggianti e promette di ripagare ulteriormente l’impegno del lavoro filologico. 28 che di un processo di adattamento creativo dei testi dovesse trattarsi non aveva dubbi, del resto, lo stesso fred c. robinson (cfr. robinson 1980, 28-29). 353 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI abram, christopher 2000 in search of lost time: aldhelm and the Ruin, «Quaestio» 1, pp. 23-44. Baker, Peter S. 1996 textual boundaries in anglo-Saxon works on time (and in some old English poems), in m. J. toswell, e. m. tayler (ed. by), Studies in English language and literature: ‘doubt wisely’, Papers in honour of E. G. Stanley, london-new York, routledge, pp. 445-456. Bately, Janet m. (ed.) 1980 the old English orosius, early english text Society, S.S. 6, oxford-new York, oxford university Press. Bitterli, Dieter 2009 Say what i am called: the old English Riddles of the Exeter Book and the anglo-latin Riddle tradition, toronto, university of toronto Press. Bollard, J. K. 1973 the cotton Maxims, «neophilologus» 57, pp. 179-187. Bredehoft, thomas a. 1998 a note on Robinson’s ‘Rewards of Piety’, «notes and Queries» 45:1, pp. 5-8. 2004 the Boundaries Between Verse and Prose in old English literature, in Joyce tally lionarons (ed. by), old English literature in its Manuscript context, medieval european Studies 5, morgantown, WV, West Virginia university Press, pp. 139-172. 2014 the Visible text: textual Production and Reproduction from Beowulf to Maus, oxford, oxford university Press. caie, graham D. 1994 text and context in editing old English: the case of the poetry in cambridge, corpus christi college 201, in Donald g. Scragg, Paul e. Szarmach (ed. by), the Editing of old English: Papers from the 1990 Manchester conference, Woodbridge-rochester, nY, D.S. Brewer, pp. 155-162. 2004 codicological clues: Reading old English christian poetry in its manuscript context, in Paul r. cavill (ed. by), the christian tradition in angloSaxon England: approaches to current Scholarship and teaching, Woodbridge-rochester, nY, D. S. Brewer, pp. 3-14. 354 calder, Daniel g. 1975 guthlac a and guthlac B: Some discriminations, in lewis e. nicholson, Dolores Warwick frese (ed. by), anglo-Saxon Poetry: Essays in appreciation for John c. McGalliard, notre Dame, in-london, university of notre Dame Press, pp. 65-80. campbell, Jackson J. 1975 a certain Power, «neophilologus» 59, pp. 128-138. cavill, Paul 1999 Maxims in old English Poetry, cambridge, D. S. Brewer. cross, James e. 1962 aspects of Microcosm and Macrocosm in old English literature, «comparative literature» 14, pp. 1-22. cucina, carla 2008 il Seafarer. la navigatio cristiana di un poeta anglosassone, roma, Kappa edizioni. Dale, corinne 2017 the natural world in the Exeter Book Riddles, cambridge, D.S. Brewer. Dietrich, f 1859 die Räthsel des Exeterbuchs: würdigung, lösung und herstellung, «zeitschrift für deutsches altertum» 11, pp. 448-490. Dobbie, elliott V. K. (ed.) 1942 the anglo-Saxon Minor Poems, anglo-Saxon Poetic records 6, new York, columbia universityPress-london, routledge and Kegan Paul. erhardt-Siebold, erika von 1949 the old English Storm Riddles, «Pmla. modern language association of america: Publications» 64:4, pp. 884-888. erlemann, edmund 1903 Zu den altenglischen Rätseln, «archiv für das Studium der neueren Sprachen und literaturen» 111, pp. 49-63. foley, John miles 1976 “Riddle i” of the exeter Book: the apocalyptical Storm, «neuphilologische mitteilungen» 77:3, pp. 347-357. 355 fry, Donald K. 1981 Exeter Book Riddle Solutions, «old english newsletter» 15:1, pp. 22-33. gneuss, helmut 1973 Guide to the Editing and Preparation of texts for the dictionary of old English, in roberta frank, angus cameron (ed. by), a Plan for the dictionary of old English, toronto, toronto university Press, pp. 9-24 (rist. con una nuova nota preliminare dell’autore in Donald g. Scragg, Paul e. Szarmach [ed. by], the Editing of old English, cambridge, D. S. Brewer, 1994, pp. 7-26). 2001 handlist of anglo-Saxon Manuscripts. a list of Manuscripts and Manuscript fragments written or owned in England up to 1100, medieval and renaissance texts and Studies 241, tempe, az, arizona center for medieval and renaissance Studies. head, Pauline 1999 Perpetual history in the old English menologium, in erik Kooper (ed. by), the Medieval chronicle. Proceedings of the 1st international conference on the Medieval chronicle, Driebergen/utrecht 13-16 July 1996, amsterdam-atlanta, ga, rodopi, pp. 155-162. howard, edwin J. 1930 cynewulf’s christ 1665-1693, «Pmla. modern language association of america: Publications» 45, pp. 354-367. Karasawa, Kazutomo (ed.) 2015 the old English Metrical calendar (menologium), anglo-Saxon texts 12, cambridge, D. S. Brewer. Keefer, Sarah larratt 1992 Respecting the Book: Editing old English liturgical Poems in their Manuscripts, «florilegium» 11, 32-52. 1998 Respect for the Book: a Reconsideration of ‘form’, ‘content’ and ‘context’ in two Vernacular Poems, in Sarah larratt Keefer, Katherine o’Brien o’Keeffe (ed. by), new approaches to Editing old English Verse, cambridge, D. S. Brewer, pp. 21-44. Kennedy, charles W. 1943 the Earliest English Poetry: a critical Survey, oxford-new Yorktoronto, oxford university Press. Ker, n. r. 1957 a catalogue of Manuscripts containing anglo-Saxon, oxford, clarendon (rev. imp. 1990). 356 Krapp, george Ph., Dobbie, elliott V. K. (eds.) 1936 the Exeter Book, anglo-Saxon Poetic records 3, new York, columbia university Press-london, routledge and Kegan Paul. lapidge, michael 1991 textual criticism and the literature of anglo-Saxon England, the t. northcote toller memorial lecture 1990, «Bulletin of the John rylands university library of manchester» 73:1, pp. 17-45 (rist. in Donald Scragg [ed. by], textual and Material culture in anglo-Saxon England, thomas northcote toller and the toller Memorial lectures, cambridge, D. S. Brewer, 2003, pp. 107-136). 1994 Stoic cosmology and the Source of the first old English Riddle, «anglia» 112, pp. 1-25. lendinara, Patrizia 2018 Gli indovinelli del codice Exoniense: giocando si impara, in il gioco nella società e nella cultura dell’alto medioevo, Spoleto, 20-26 aprile 2017, Settimane di studio della fondazione centro italiano di studi sull’alto medioevo 65, Spoleto, fondazione centro italiano di studi sull’alto medioevo, pp. 627-677. lipp, f. r. 1971 guthlac a: an interpretation, «mediaeval Studies» 33, pp. 46-62. liuzza, roy m. 1990 the old English christ and guthlac texts, Manuscripts, and critics, «review of english Studies. new Series» 41, pp. 1-11. lumby, J. rawson 1876 Be domes daege. de die Judicii: an old English Version of the latin Poem ascribed to Bede, early english text Society, o.S. 65, london-new York-toronto, oxford university Press. mitchell, Stephen a. 1982 ambiguity and Germanic imagery in oE Riddle 1: “army”, «Studia neophilologica» 54:1, pp. 39-52. muir, Bernard J. (ed.) 1994 the Exeter anthology of old English Poetry: an Edition of Exeter dean and chapter MS 3501, 2 voll., exeter, university of exeter Press. nelson, marie 1974 the Rhetoric of the Exeter Book Riddles, «Speculum» 49:3, pp. 421-440. 357 neville, Jennifer 1999 Representations of the natural world in old English Poetry, cambridge Studies in anglo-Saxon england 27, cambridge-new York, cambridge university Press. o’Brien o’Keeffe, Katherine 1990 Visible Song: transitional literacy in old English Verse, cambridge, cambridge university Press. 1994 Editing and the Material text, in Donald g. Scragg, Paul e. Szarmach (ed. by), the Editing of old English: Papers from the 1990 Manchester conference, Woodbridge-rochester, nY, D.S. Brewer, pp. 147-154. 1998 Reading the c-text: the after-lives of london, British library, cotton tiberius B. i, in Phillip Pulsiano, elaine m. treharne (ed. by), angloSaxon Manuscripts and their heritage, aldershot-Brookfield, WiSingapore-Sydney, ashgate, pp. 137-160. 2001 (ed. by) the anglo-Saxon chronicle: a collaborative Edition, Volume 5, MS. c, a semi-diplomatic edition with introduction and indices, cambridge, D.S. Brewer. orchard, andy 2005 Enigma Variations: the anglo-Saxon Riddle-tradition, in Katherine o’Brien o’Keeffe, andy orchard (ed. by), latin learning and English lore: Studies in anglo-Saxon literature for Michael lapidge, 2 voll., toronto, university of toronto Press, i, pp. 284-304. Pasternack, carol B. 1995 the textuality of old English Poetry, cambridge Studies in anglo-Saxon england 13, cambridge-new York, cambridge university Press. Pinsker, hans, ziegler, Waltraud (hrsg.) 1985 die altenglischen Rätsel des Exeterbuches. text mit deutscher Übersetzung und Kommentar, anglistische forschungen 183, heidelberg, carl Winter. Pulsiano, Phillip 1998 the Prefatory Matter of london, British library, cotton Vitellius E. xviii, in Phillip Pulsiano, elaine m. treharne (ed. by), anglo-Saxon Manuscripts and their heritage, aldershot-Brookfield, Wi-SingaporeSydney, ashgate, pp. 85-116. roberts, Jane (ed.) 1979 the Guthlac Poems of the Exeter Book, oxford, clarendon. 358 robinson, fred c. 1975 artful ambiguities in the old English “Book-Moth” Riddle, in lewis e. nicholson, Dolores Warwick frese (ed. by), anglo-Saxon Poetry: Essays in appreciation for John c. McGalliard, notre Dame, in-london, university of notre Dame Press, pp. 355-362. 1980 old English literature in its Most immediate context, in John D. niles (ed. by), old English literature in context: ten essays, Woodbridge, Suffolk, D. S. Brewer, pp. 11-29, 157-161 (rist. in robinson 1994, 3-24). 1981 “Bede’s” Envoi to the old English history: an Experiment in Editing, «Studies in Philology» 78, pp. 4-19 (rist. in robinson 1994, 167-179). 1987 consider the Source: Medieval texts and Medieval Manuscripts, «medieval Perspectives» 2:1, pp. 7-16 (rist. in robinson 1994, 25-35). 1989 “the Rewards of Piety”: “two” old English Poems in their Manuscript context, in Patrick J. gallacher, helen Damico (ed. by), hermeneutics and Medieval culture, albany, nY, garland, pp. 193-200 (rist. in robinson 1994, 180-195). 1994 the Editing of old English, oxford-cambridge, ma, Blackwell. ruggerini, maria elena 2018 “felices oculi qui cernunt gaudia coeli”. la sezione finale anglolatina di the Phoenix, «filologia germanica ‒ germanic Philology» 10, pp. 185-227. Salvador-Bello, mercedes 2015 isidorean Perceptions of order: the Exeter Book Riddles and Medieval latin Enigmata, morgantown, WV, West Virginia university Press. Scragg, Donald g. 1977 napier’s “wulfstan” homily XXX: its Sources, its Relationship to the Vercelli Book and its Style, «anglo-Saxon england» 6, pp. 197-211. 1992 (ed.) the Vercelli homilies and Related texts, early english text Society, o.S. 300, oxford-new York-toronto, oxford university Press. 1998 towards a new anglo-Saxon Poetic Records, in Sarah larratt Keefer, Katherine o’Brien o’Keeffe (ed. by), new approaches to Editing old English Verse, cambridge, D.S. Brewer, pp. 67-78. Sharma, manish 2002 a Reconsideration of the Structure of guthlac a: the Extremes of Saintliness, «Journal of english and germanic Philology» 101, pp. 185200. Shippey, t. a. (ed.) 1976 Poems of wisdom and learning in old English, cambridge, D.S. Brewer - totowa, nJ, rowman and littlefield. 359 Shook, laurence K. 1961 the Prologue of the old English guthlac, «mediaeval Studies» 23, pp. 294-304. Szarmach, Paul e. 1998 Æðelflæd of Mercia: mise en page, in Peter S. Baker, nicholas howe (ed. by), words and works: Studies in Medieval English language and literature in honour of fred c. Robinson, toronto-Buffalo-london, university of toronto Press, pp. 105-126. taylor, Paul B. 1969 heroic Ritual in the old English Maxims, «neuphilologische mitteilungen» 70, pp. 387-407. thorpe, Benjamin (ed.) 1842 codex Exoniensis: a collection of anglo-Saxon Poetry, london, Society of antiquaries of london; rist. firenze, nabu Press, 2011. trautmann, moritz 1894 die auflösungen der altenglischen Rätsel, «anglia Beiblatt» 5, pp. 46-51. 1915 (hrsg.) die altenglischen Rätsel (die Rätsel des Exeterbuchs), alt- und mittelenglische texte 8, heidelberg, carl Winters universitätsbuchhandlung - new York, g. e. Stechert & co; rist. Paderborn, Salzwasser Verlag, 2012. tupper, frederick, Jr. (ed.) 1910 the Riddles of the Exeter Book, Boston, ma, ginn; rist. Darmstadt, Wissenschaftliches Buchgesellschaft, 1968. Wanley, humfrey 1705 librorum Veterum Septentrionalium…catalogus, oxford, clarendon. Whitbread, leslie 1948 two notes on Minor old English Poems, «Studia neophilologica» 20, pp. 192-198. 1949 the old English ‘Exhortation to christian living’: Some textual Problems, «modern language review» 44, pp. 178-183. 1951 notes on the old English exhortation to christian living, «Studia neophilologica» 23, pp. 96-102. 1957 notes on two Minor old English Poems, «Studia neophilologica» 29, pp. 123-129. 360 Williamson, craig (ed.) 1977 the old English Riddles of the exeter Book, chapel hill, the university of north carolina Press. Woolf, rosemary 1966 Saint’s lives, in erik g. Stanley (ed. by), continuations and Beginnings: Studies in old English literature, london, thomas nelson & Sons ltd., pp. 37-66. Wormald, francis 1945 decorated initials in English MSS. from a.d. 900-1100, «archaeologia» 91, pp. 107-135. zacher, Samantha 2003-4 the Rewards of Poetry: “homiletic” Verse in cambridge, corpus christi college 201, «Selim» 12, pp. 83-108. zanna, Paolo 1991 “descriptiones urbium” and Elegy in latin and Vernaculars in the Early Middle ages, «Studi medievali», ser. 3a, 32, pp. 523–596. zimmermann, gunhild 1995 the four old English Poetic Manuscripts. texts, contexts and historical Background, heidelberg, carl Winter. 361 APPENDICE FOTOGRAFICA fig. 1. cotton tiberius B. i, f. 112r, rr. 1-3 (Menologium 1-3) fig. 2. cotton tiberius B. i, f. 115r, rr. 1-3 (Maxims ii 1-3a) fig. 3. cotton tiberius B. i, f. 115v, rr. 23-26 (incipit dell’anglo-Saxon chronicle, text c) 363 fig. 4. exeter Book, f. 101r, r. 5 (incipit del Riddle 1) fig. 5. exeter Book, f. 101r, r. 14 (presunto incipit del Riddle 2) 364 CARLA CUCINA TexTual boundaries and The Transmission of anglo-saxon poeTry reading anglo-saxon poems in their most immediate context has marked a new trend in recent scholarship, since fred C. robinson’s pivotal research work carried out in the 1980s. some traditional views, concerning both textual boundaries and juxtaposition of different narrative genre units within the same manuscript copy, have since been reexamined, to the point of proposing, in a few cases, significant changes in the edition and verse numbering of single poems. by carefully rereading some old english (sequences of) texts in their manuscript context, and by combining internal and paleographical evidence, the present investigation shows that good grounds exist for questioning the standard identification of poetic units and the current interpretation of textual sequences in anglo-saxon manuscripts on a larger scale. analysis focuses in particular on the prefatory verse calendar and metrical gnomic collection in london, british library, ms Cotton Tiberius b. i, as related to the C-text of the Anglo-Saxon Chronicle; the so-called “storm riddle(s)” in the exeter book, and the case study of The Rewards of Piety in Cambridge, Corpus Christi College ms 201. Keywords: old english poems in manuscript context, medieval textual boundaries, codicology and paleography, metrical prefaces to the C-Text of the Anglo-Saxon Chronicle, Exeter Riddles. carla.cucina@unimc.it INDICE In limine a una introduzione (DIEGO POLI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 English abstracts. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 DALLA CATEGORIZZAZIONE AI RECUPERI DELL’IMPOSSIBILE Non più e non ancora. Liminalità e carnevale (sulle categorie di Victor W. Turner e Michail M. Bachtin) (MASSIMO BONAFIN). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 Confini dell’umano e letteratura concentrazionaria (NATASCIA MATTUCCI) . . . . . 79 I confini – non confini architettonici di Daniel Libeskind: luci, ombre, memoria (CHIARA CENSI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 In limine mortis, in limine vitae: la soglia estrema come luogo d’incontro dell’umanesimo nella vita e nell’opera di Etty Hillesum (CLARA FERRANTI) . . . . . . . 109 LA MEDIAZIONE E I CONFINI CON LA PSICOLOGIA, LA NEUROSCIENZA, I SEGNANTI E LA DISLESSIA I marginali dell’ex ospedale psichiatrico di Girifalco e il lessico delle malattie di nerve alla testa (FRANCESCA M. DOVETTO). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 Aree in limine fra la lingua dei segni e la lingua vocale: analisi delle interferenze linguistiche come strategie di costruzione funzionale (MARTA MUSCARIELLO). . . . 163 La sfida della lingua cinese per studenti con dislessia: nuove metodologie didattiche, obiettivi e prospettive (FRANCESCA GESÙ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 Liminalità e interpretazione: sconfinamenti tra posizioni interazionali e piani comunicativi (RAFFAELA MERLINI - LAURA PICCHIO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199 LIMEN CULTURALE, LIMEN GEOGRAFICO, LIMEN IMMAGINATO Il varco folle d’Ulisse (MARIO NEGRI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227 Urbis limina (CARLO PONGETTI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 La scenografia del moderno: come i luoghi diventano non luoghi (ENRICO PULSONI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255 Il poeta senza ossa ai confini del cielo (ancora su ἀνοστεοσ ὁν ποδα τενδει) (GABRIELE COSTA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265 Trieste: “limen” culturale, linguistico e geografico nell’opera di Giani Stuparich (COSTANZA GEDDES DA FILICAIA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 Il corpo come luogo liminare: prospettive in Occidente e in Oriente a confronto (CRISTIANA TURINI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307 INCONTRO, RELAZIONE, INTERFERENZA Il confine del testo. Dinamiche in limine nella trasmissione della poesia anglosassone (CARLA CUCINA). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333 Confini testuali del Cinquecento: gli esordi dei trattati rinascimentali (GIANLUCA FRENGUELLI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 365 La forma sonata de L’infinito. Su alcune omologie formativo-strutturali tra linguaggio poetico e musicale (VINCENZO CAPORALETTI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389 − Zoophyton: una parola per l’intermedio tra l’animale e la pianta nella Scala naturae (MARIA FERNANDA FERRINI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 415 Ordo: una trafila paneuropea (MARIA LAURA PIERUCCI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 439 IL LIMEN DELLA PAROLA: VICO, LEOPARDI E L’ETIMO “La storia de’ primi ed oscurissimi incunaboli della società”: la riflessione leopardiana zibaldonica sull’idea di origine e il suo rapporto con la Scienza nuova (FABIANA CACCIAPUOTI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453 Il ruolo delle etimologie in Vico e Leopardi (ROBERTO LAURO). . . . . . . . . . . . . . . 461 Istanze di etimologia fra Vico e Leopardi (ANGELA BIANCHI) . . . . . . . . . . . . . . . . 481 Leopardi e Vico: etimologia, ultrafilosofia, conoscenza (MARTINA PIPERNO). . . . . 497 L’etimo di Silvia (DANIELE MAGGI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 511 Vico “in limine” fra Historismus, Étienne Bonnot de Condillac e Leopardi (DIEGO POLI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 523 IL LIMEN DELLA TRADUZIONE: TRA RUSSIA E ITALIA L’Amleto russificato di Aleksandr Sumarokov: testi e contesti (MARCUS C. LEVITT). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 599 Il “Pasternak” di Renato Poggioli (BIANCA SULPASSO). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 629 Superare il limen: meta-temporalità e rivolta nella poesia di Anna Barkova (CLAUDIA PIERALLI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 651 Scrivere per i bambini, scrivere oltre i confini: Daniil Charms funambolo della soglia (LAURA PICCOLO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 665 Storia e ricezione delle traduzioni dell’Evgenij Onegin di Ettore Lo Gatto (1925, 1937) nella cultura italiana degli anni ‘20 e ‘30 (VALERIA BOTTONE). . . . . . . . . . 681 IDENTITÀ, CONFINI, INTEGRAZIONI Sprachidentität und Schreiben (DAGMAR KNORR) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 695 Die diamesische Dimension interlingualer Untertitelung am Beispiel der Übertragung von Partikeln im Sprachenpaar Deutsch-Italienisch (ANTONELLA NARDI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 713 Confini, lingue, identità (FEDERICA DA MILANO). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 729 Scritto e parlato: incroci e confini nella storia delle lingue (e delle scritture) (FRANCESCA CHIUSAROLI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 745 SPAZI LIMINALI NELLA SCRITTURA AL FEMMINILE Tradizioni e traduzioni nomadi: la tecnica del Transcultural Switching nell’opera italofona di Jhumpa Lahiri (DAGMAR REICHARDT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 781 − Mayy Ziyada (1883-1941) tra femminismo e nazionalismo (MARIANGELA MASULLO). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 797